01 novembre 2022

Diabetologia

Prof. Andrea Mosca

Dal 2015 le strategie per formulare una diagnosi precoce di aterosclerosi subclinica si stanno rivolgendo con particolare attenzione, oltre che ai soggetti con quadro lipidico alterato, anche verso i soggetti non diabetici. Di fatto le recenti linee guida raccomandano un calcolo del punteggio di rischio basato principalmente sulla deposizione di calcio nelle arterie coronariche e sull’ecografia delle arterie carotidi e femorali, in modo tale da riuscire ad evidenziare la possibile presenza di placche aterosclerotiche. 

E’ evidente l’interesse particolare nell’individuare i soggetti a basso rischio, dal momento che questi possono comunque essere sul punto di sviluppare un’aterosclerosi subclinica, ed inoltre, in termini assoluti, è noto causino la maggior parte di mortalità dovuta ad  eventi cardiovascolari. Essi infatti costituiscono una popolazione assai più grande di quella dei soggetti ad alto rischio. 

Tuttavia la maggior parte dei punteggi di rischio cardiovascolare non prendono in esame il danno provocato dalla glicazione delle proteine, che viene espressamente monitorato dalle misure dei livelli di emoglobina glicata. Per colmare tale lacuna recentemente è stato condotto e concluso uno studio osservazionale spagnolo su quasi 4000 soggetti adulti (con età tra 40 e 54 anni), senza storia di malattia cardiovascolare e con HbA1c inferiore a 47 mmol/mol (6,4 %). I principali risultati di tale studio, noti con l’acronimo di PESA (Progression of Early Subclinical Atherosclerosi), sono stati recentemente pubblicati sulla prestigiosa rivista Journal of American College of Cardiology (JACC 2021;77). I soggetti arruolati sono stati controllati per la presenza di aterosclerosi subclinica mediante ecografia vascolare bidimensionale e tomografia cardiaca computerizzata senza contrasto, al fine di valutarne lo Score Coronary Artery Calcium. Dopo l’aggiustamento, che considerava vari altri parametri confondenti (età, sesso, pressione sistolica, colesterolo totale, tabagismo), gli autori dimostravano che l’HbA1c aveva una associazione con l’estensione della aterosclerosi in più distretti, quali le carotidi, l’aorta addominale e le arterie ileo-femorali, e che quindi tale associazione era significativa anche in soggetti con normale metabolismo glicidico.

Questo lavoro ci porterebbe a concludere che l’utilizzo routinario dell’HbA1c, e non della glicemia a digiuno, insieme alla valutazione della possibile presenza di altri fattori di rischio tradizionali, permetterebbe una migliore e più tempestiva identificazione dei soggetti asintomatici ad alto rischio di aterosclerosi subclinica. Per il momento in Italia siamo in fase di osservazione e sarà da monitorare se la misura dei livelli di HbA1c possa essere ufficialmente considerata uno strumento utile per stratificare meglio il rischio di malattie cardiovascolari anche nei soggetti con un metabolismo glucidico normale o con una situazione di pre-diabete. In seconda battuta, ovviamente, bisognerà valutare se non sia il caso di cominciare a cambiare lo stile di vita ed a utilizzare farmaci antidiabetici e con comprovato beneficio cardiovascolare in quei soggetti che si presentano al di sotto della soglia diagnostica per il diabete di tipo 2, per implementare con maggiore efficacia la gestione globale del rischio cardio-metabolico.