01 ottobre 2024

Diabetologia

Prof. Andrea Mosca



Impatto del patrimonio genetico sulla glicazione dell'Emoglobina: rischi e complicazioni nel Diabete.

Gli effetti del patrimonio genetico sulla modulazione delle concentrazioni dell’emoglobina glicata sono già stati descritti precedentemente, e possono essere classificati come fattori eritrocitari, come fattori di variabilità glicemica o in un altro gruppo non ben definito di cui fanno parte fattori che controllano la velocità di glicazione. I fattori eritrocitari comprendono fondamentalmente alcuni difetti enzimatici (ad es. la carenza di G6PD), la presenza di varianti emoglobiniche, ed eventuali difetti della membrana eritrocitaria. I fattori che possono influenzare la variabilità glicemica invece comprendono possibili polimorfismi o variabilità ereditarie della glucochinasi e di altri fattori che possono modulare la secrezione insulinica. Infine al terzo gruppo, che comprende fattori genetici che possono alterare l’entità di glicazione dell’HbA1c appartengono  tutta la serie di altri possibili modulatori, quali ad esempio le attività anormali dell’enzima deglicante fruttosammina 3-chinasi (FN3K).
Naturalmente le persone con diabete che esprimono qualcuno di questi modulatori genetici potrebbero avere una emoglobina glicata più alta o più bassa del normale, indipendentemente dai livelli di glicemia. È pertanto logico aspettarsi che i determinanti genetici che producono un abbassamento della HbA1c rispetto ai livelli glicemici possano essere causa di un rischio maggiore di sviluppo di complicanze diabetiche, in quanto la stima della bontà del controllo glicemico basata sulla HbA1c risulterebbe falsamente migliore di quanto lo sia realmente.


Personalizzazione dei traguardi di HbA1c nei pazienti diabetici. Nuove evidenze dallo studio su pazienti di differenti origini ancestrali.

La convalida di tali concetti la troviamo in un recente studio pubblicato su Diabetes Care da parte di un gruppo di studiosi americani. Questi ricercatori hanno utilizzato i dati di quasi 30.000 soggetti con diabete di tipo 2 di origini afroamericane ed europee, per i quali sono stati calcolati punteggi poligenici basati sulla analisi di 122 determinanti genetici delle categorie prima esposte. I risultati di questa analisi hanno confermato che nei soggetti di origine africana con livelli di HbA1c inferiori a 48 mmol/mol (7 %) lo sviluppo della retinopatia era significativamente più alto rispetto ai soggetti non portatori degli effetti modulatori. Le conclusioni dello studio suggeriscono che sia importante personalizzare i traguardi di HbA1c nei pazienti diabetici che provengono da differenti origini ancestrali. 


Confronto tra metodiche di quantificazione della HbA1c.

A chiosa di questa breve notazione desidero portare l’attenzione su un poster presentato al congresso americano di chimica clinica di quest’anno nel quale gli autori hanno riportato i risultati di uno studio che ha messo a confronto la metodica in elettroforesi capillare (Capillarys 3 Tera) e la metodica immunoenzimatica (Alinity). Lo studio è stato effettuato su oltre 2000 campioni ed ha dimostrato un’eccellente correlazione tra le due metodiche. È stato poi effettuato un approfondimento escludendo sia i soggetti con possibili disordini nel turnover eritrocitario, sia quelli portatori di varianti emoglobiniche ed anche i pazienti con livelli aumentati di emoglobina fetale (HbF> 5%).  Solo nel caso dei soggetti con valori elevati di HbF si riscontrava un bias negativo del metodo immunoenzimatico rispetto all’elettroforesi capillare. Questi dati confermano la mia opinione, e cioè che per una corretta quantificazione della HbA1c è meglio utilizzare metodiche separative, rispetto a quelle immunochimiche e, probabilmente, anche rispetto a quelle enzimatiche.