01 agosto 2022

Diabetologia, Ematologia

Prof. Andrea Mosca


È un tema noto a chi lavora in questo campo, che però vale la pena di rivisitare. Nel 2011 il gruppo di studio inter-societario SIBioC-SIPMeL sul diabete mellito aveva prodotto un documento su come refertare l’emoglobina glicata in presenza di varianti emoglobiniche. Molto recentemente questo documento è stato rivisto ed è ora accessibile online sul sito di Biochimica Clinica, il giornale ufficiale della SIBioC. Si è ritenuto opportuno fare una revisione del documento originale, sia per aggiornare l’elenco delle metodiche e le loro possibili interferenze da parte delle più comuni varianti emoglobiniche (HbS, C, D ed E), che per definire con maggior rigore cosa refertare.

Per quanto riguarda le metodiche analitiche fa piacere constatare che la maggior parte è robusta nei confronti delle varianti emoglobiniche, ma che, per quanto riguarda le metodiche separative, ancora la situazione non è ottimale. L’elettroforesi capillare non è assolutamente influenzata da questa variabile analitica.

Nel documento si esprime perplessità per l’utilizzo delle metodiche cosiddette “cieche”, quali le metodiche immunochimiche, le metodiche enzimatiche e quelle in cromatografia di affinità. La mia opinione personale è che nel nostro paese, vista la elevata prevalenza di etnie non caucasiche, sia opportuno utilizzare invece metodiche separative robuste, perché la presenza di una variante emoglobinica deve essere segnalata nel referto, sia per completezza dell’informazione fornita, che per richiamare l’attenzione del clinico sulla possibile interpretazione cautelativa, soprattutto se, come per il caso della presenza di emoglobina E, il fenotipo possa risultare molto variabile. Verso la fine il documento presenta alcuni esempi di possibili referti, qualora si riscontri la presenza delle emoglobine prima citate.

Nel caso in cui la variante emoglobinica non sia né HbS, né HbC, né HbD, e nemmeno HbE, si raccomanda di commentare il referto dichiarando che la HbA1c non è quantificabile a causa della presenza di una variante emoglobinica non caratterizzata. In questo caso si consigliano altri esami per la valutazione del controllo glicemico (ad esempio la misura in continuo della glicemia sottocute, o la quantificazione dell’albumina glicata) ed ulteriori indagini per la caratterizzazione della variante emoglobinica. Se si decide di perseguire questa attività è opportuno tener conto che in diverse regioni italiane il sequenziamento dei geni globinici viene ormai effettuato di routine almeno in uno dei laboratori principali o di riferimento regionale o territoriale del Sistema Sanitario Nazionale. L’analisi del DNA non deve essere ritenuta assolutamente necessaria in molti casi, soprattutto se mancano sintomi clinici tipici dei soggetti con emoglobinopatie (ad es. anemia, policitemia, cianosi).

Rispetto alla precedente versione del 2011, questo documento è stato approvato dai consigli direttivi delle rispettive società scientifiche. Ha quindi la valenza di un documento inter-societario, ed è stato redatto sia in italiano che in lingua inglese. Ci auspichiamo pertanto che le raccomandazioni ivi espresse vengano presto applicate da tutti i professionisti di laboratorio, anche per arrivare ad una standardizzazione della fase post-analitica.