01 gennaio 2024
Il difetto di glucosio 6-fosfato deidrogenasi (G6PD)
è stato riscontrato per la prima volta oltre sessant’anni fa e, prima di
allora, erano state trovate carenze solo di altri due enzimi eritrocitari
importanti: la catalasi e il galattosio 1-fosfato uridiltransferasi.
Tuttavia, soltanto la carenza di G6PD causava un disordine ematologico, in
particolare portava ad una anemia emolitica in seguito all’assunzione di alcuni
tipi di farmaci antimalarici o al consumo di fave fresche. Anche l’ittero
neonatale può essere di diversa gravità ed in alcuni casi si può avere una
anemia emolitica congenita. Oggi si stima che oltre 400 milioni di persone
al mondo siano portatori di questo difetto enzimatico, che si può
manifestare in forma di diversa gravità a seconda del tipo di variante presente.
In questa rubrica abbiamo più volte detto che, tra i
fattori pre-analitici che possono influenzare la misura dell’emoglobina glicata,
oltre alla presenza di certe varianti emoglobiniche, alla carenza di ferro, a
certe altro co-morbidità, e ad altri fattori anche nutrizionali, la presenza
di una anemia emolitica può inficiare l’interpretazione del risultato a causa
della riduzione della vita media eritrocitaria.
Implicazioni delle varianti di G6PD a livello globale.
Con l’avvento delle tecniche di Genome-Wide Association
Study (GWAS) abbiamo assistito ad un proliferare di metanalisi, che hanno
identificato vari fattori non eritrocitari importanti per la loro possibile
interferenza sulla quantificazione dell’HbA1c. Uno degli studi più recenti ha
dimostrato che vi sono delle varianti di G6PD, che si trovano in soggetti di
origine afro-americana od ispanica negli Stati Uniti, e che una di queste
varianti, la G6PD-Asahi, produce un abbassamento dell’HbA1c pari a circa
8,9 mmol/mol. Per quanto riguarda l’Asia, dove la prevalenza del difetto è
anche significativa, un recente lavoro di autori di Singapore ha dimostrato che
altre due varianti di G6PD, (G6PD-Canton e G6PD-Kaiping) avevano
effetti importanti nell’abbassare i livelli di HbA1c, indipendentemente dalla
glicemia.
E da noi com’è la situazione? Non ci sono molti dati al
riguardo, però uno studio del gruppo di Songini di Cagliari, pubblicato più
di 10 anni fa, aveva dimostrato che il difetto di G6PD accelera le complicanze
microvascolari del diabete, verosimilmente a causa di una minore
disponibilità di NADPH che rappresenta una delle difese contro lo stress
ossidativo e la disfunzionalità endoteliale. Senza andare nei dettagli di
questo studio, mi sembra importante ricordare che i livelli di HbA1c nei
soggetti con diabete di tipo 1 studiati erano più alti di circa 10 mmol/mol
rispetto ai livelli presenti nei soggetti con diabete di tipo 1 e carenti di
G6PD.
Il rapporto tra glicemia a digiuno e HbA1c come indice potenzialmente utile per la diagnosi di diabete.
In conclusione, questo fattore pre-analitico deve essere
sempre tenuto presente quando la glicata “non torna” con i livelli di glicemia
media. C’è anche chi ha proposto l’uso del rapporto tra glicemia digiuno ed
HbA1c come indice potenzialmente utile per porre diagnosi di diabete, basandosi
solo sulla misura della emoglobina glicata, nelle etnie ad alta prevalenza del
difetto di G6PD.
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