30 maggio 2022

Chi si occupa di diabete sa bene
che per la valutazione del controllo glicemico si ricorre alla glicemia a
digiuno, alla glicemia post prandiale, alla HbA1c ed anche alla
variabilità glicemica. Quest’ultima è diventata un parametro molto concreto da
quando la glicemia si può valutare praticamente in continuo (Continuous Glucose
Monitoring, CGM), mediante i sensori di glicemia che si possono applicare in
diverse parti del corpo, generalmente sulla parte alta del braccio, e che
forniscono una notevole quantità di dati andando a rilevare la glicemia per un
periodo di tempo di un paio di settimane. La letteratura scientifica è ricca di
testimonianze che aiutano, con tale strumento, a ottimizzare i target glicemici
a seconda dei pazienti.
Ma per quanto riguarda l’HbA1c
i dati disponibili sono pochi. A differenza della variabilità glicemica
valutata come prima ricordato, quindi su una finestra temporale piuttosto
breve, la variabilità della HbA1c meglio esprimerebbe le
fluttuazioni glicemiche che possono avvenire nel corso di mesi o anni. Uno dei lavori più interessanti è quello
offerto da un gruppo di ricercatori cinesi che ha valutato l’impatto della
variabilità di questo parametro sul rimodellamento subclinico del ventricolo
sinistro in relazione all’aumento del rischio di insufficienza cardiaca (Li et
al, Clin Chim Acta 2020;502:159-66). È infatti noto che l’instabilità glicemica
conferisce un rischio di prognosi negativa nei pazienti con diabete di tipo 2,
e che le complicanze cardiache si manifestano nel corso degli anni. Nello
studio sono stati arruolati oltre 450 pazienti con diabete di tipo 2 con
struttura cardiaca normale e seguiti in maniera prospettica per circa cinque
anni. L’HbA1c veniva misurata quattro volte all’anno e da questi
dati si calcolava la media intrapersonale con relativa deviazione standard
(SD-HbA1c), che quindi veniva valutata con un indicatore di variabilità
della glicata medesima. L’analisi statistica effettuata con un modello di
regressione multiparametrica ha dimostrato che la deviazione standard dell’HbA1c
era associata in maniera indipendente con i cambiamenti del diametro finale
diastolico del ventricolo sinistro, del setto interventricolare, della parete
posteriore del ventricolo sinistro ed in altri indici cardiaci. Un’ulteriore
analisi effettuata quindi in sottogruppi di pazienti in base ai valori medi di
HbA1c (<7,0 %, 7,0-7,5 % e ³7,5
%) ha ulteriormente confermato che la SD-HbA1c era associata con la
maggior parte degli indicatori cardiaci ecocardiografici prima citati,
indipendentemente dal valore medio della glicata medesima. Personalmente
ritengo che questo studio, anche se non scevro da alcune limitazioni quali la
presenza di fattori di rischio non conosciuti, la natura osservazionale del
disegno sperimentale e la limitazione ad un solo tipo di etnia, abbia un
rilievo importante. Mi aspetto quindi che altre valutazioni simili possano essere
presto effettuate anche nelle casistiche caucasiche.
Peraltro la variabilità dell’HbA1c
era già stata messa in causa in associazione all’aumentato tasso di mortalità
nei pazienti con diabete di tipo 2, sia in Giappone che in Europa, che negli
Stati Uniti, anche in associazione ai valori di pressione sistolica. Ed è anche
noto che la iperglicemia intermittente provoca un rilascio di specie reattive
dell’ossigeno, di citochine infiammatorie, induce una disfunzionalità
mitocondriale ed apoptosi in tasso maggiore rispetto a una iperglicemia
cronica. È anche stato dimostrato che la variabilità della emoglobina glicata è
un predittore potente degli episodi di ipoglicemia che richiedono la
ospedalizzazione dei pazienti diabetici.
In conclusione penso che a livello
post-analitico il laboratorio possa offrire strumenti per valutare la
variabilità intra-individuale dell’HbA1c, non solo in termini di
deviazione standard e stimolare una serie di azioni utili per il miglioramento
della salute del paziente diabetico. Ritengo inoltre che poter depositare tali
informazioni nel fascicolo elettronico di ogni singolo paziente potrebbe dare
un notevole valore aggiunto al ruolo della medicina di laboratorio, per altro a
tutti gli effetti già presente insieme alle altre discipline mediche, nella
gestione della salute umana.
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